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Capitolo Quinto

Il futuro politico ed economico dell’ASEAN

 

 

 

 

 

 

"... le teorie sono reti: solo chi le butta pesca".
Novalis

 

 

 

 

 

 

5.1 Quadro introduttivo

La preoccupazione principale degli economisti e degli osservatori fino al luglio del 1997, vale a dire un mese prima della celebrazione del trentesimo anno di esistenza dell’ASEAN, era quella di fornire una spiegazione esauriente alla complessa domanda relativa allo sviluppo, così rapido e sostenuto, registrato dai principali paesi sudorientali nel corso degli anni ’80 e ’90.

Adesso, invece, la questione preminente a cui si cerca di rispondere in ambito accademico è quella connessa alla ricerca dei motivi e delle ripercussioni che la crisi, che ha investito indiscriminatamente quasi l’intero continente asiatico, ha generato e genererà su quest’area.

In effetti, solo nel 1996, le prospettive di crescita dei paesi ASEAN erano più che rosee e si attestavano in termini di P.I.L, limitatamente ai paesi più importanti (Indonesia, Filippine, Malaysia, Singapore, Thailandia e Vietnam), ben oltre il 5% annuo. Uno sviluppo che era superiore a quello dei paesi più avanzati e che faceva estendere l’appellativo di "tigri asiatiche" a gran parte dei paesi menzionati.

La prospettiva di completare il processo di integrazione regionale, in termini di paesi componenti, si stava pian piano avverando, tant’è che oggi tutti i dieci paesi sudorientali ne fanno parte.

I mercati borsistici registravano elevate crescite dei trend; gli investitori esteri sembravano avere fiducia, avallati dai giudizi delle agenzie di rating internazionali, della solidità finanziaria di questi paesi; gli standard di vita delle popolazioni crescevano ad un ritmo sostenuto, l’inflazione si attestava su valori pressoché inferiori alle due cifre (Tabella 5.1).

 

Tabella 5.1 Alcuni indicatori economici percentuali 1996-98

 

Indonesia

Malaysia

Filippine

Singapore

Thailandia

Vietnam

Crescita P.I.L

1996

8

8,6

5,5

6,9

5,5

9,4

1997

4,7

8

5,1

7,8

-0,4

9

1998

-15

-5,8

-0,2

-0,2

-8

7

 

Inflazione

1996

6,5

3,5

8,4

1,4

5,8

4,5

1997

11,6

2,6

5,1

2

5,6

4

1998

75

5

8

2

8

5

 
Fonte: Asia Pacific Economic Group, Asia Pacific Profiles 1998
.

 

Tutto ad un tratto, però, proprio alla vigilia della celebrazione del terzo decennio di vita dell’associazione, si manifestarono le prime scosse di un terremoto, inizialmente di natura finanziaria, che nessun economista o modello economico, nessuna organizzazione internazionale, nessun governo ed infine nessuna agenzia di rating è stata in grado di prevedere.

L’Indonesia, paese più gravemente colpito dalla crisi, ha registrato nel 1998 un declino del proprio prodotto interno lordo simile, per entità e rapidità, a quello registrato da alcuni paesi (ad esempio il Regno Unito) durante la grande depressione del 1929-32 (ARNDT-HILL 1999).

La solvibilità dei debiti espressi in dollari, soprattutto quelli a breve termine, contratti dalle istituzioni bancarie e finanziarie locali (a differenza della crisi del Messico ove i debiti erano di natura pubblica e statale, in questo caso la miccia che ha acceso il fenomeno è da attribuirsi al settore privato) non ha retto al panico generatosi e diffusosi a macchia d’olio fra gli investitori ed i risparmiatori non appena si manifestavano le prime bancarotte finanziarie. Tracolli dovuti essenzialmente ad investimenti sbagliati (le cosiddette bolle speculative) su settori ormai saturi e maturi quali quello immobiliare.

Ad acuire la portata dell’indebitamento è intervenuto successivamente il deprezzamento delle valute locali contro il dollaro a cui esse erano precedentemente agganciate (Tabella5.2).

L’insostenibilità della difesa a lungo termine delle divise nazionali dagli attacchi speculativi dei grandi investitori e dall’eccessivo, almeno a giudicare gli indicatori economici fondamentali pre-crisi, allarmismo dei risparmiatori, manifestatosi con la corsa agli sportelli, hanno portato le autorità governative ad abbandonare il sistema di ancoraggio alla divisa statunitense ed a seguire, ad onor del vero poco volenterosamente, le indicazioni del Fondo Monetario Internazionale (IMF) per intraprendere lentamente la via della guarigione; ciò è avvenuto a scapito però, ma pur sempre in una ottica di scelta del male minore, della posizione debitoria in valuta statunitense già compromessa di alcune istituzioni finanziarie.

 
Tabella5.2 Deprezzamento percentuale delle valute di alcuni paesi asiatici.
(variazione % dal 1 luglio 1997 al 15 settembre 1998)

 

Variazione percentuale
(contro dollaro)

ASEAN-5

 

Indonesia

-78

Thailandia

-42

Filippine

-40

Malaysia

-34

Singapore

-17

Altri Paesi

 

Corea

-36

Taiwan

-20

Giappone

-14

Australia

-21

Nuova Zelanda

-25

 

Fonte: Evans (1998)

 

Lungi dall’indagare nuovamente sulle cause che hanno portato ad un simile fenomeno è tuttavia doveroso tenere ben in considerazione gli effetti e le conseguenze implicite che la crisi del 1997-98 avranno nello sviluppo futuro dell’ASEAN come entità di aggregazione regionale e dei singoli paesi membri.

Sotto questa nuova luce il filo conduttore alla base dell’analisi dei possibili scenari futuri si spezzerà in due tronconi. Il primo di esso cercherà di evidenziare, sia pur brevemente, le prospettive politiche dell’associazione come organizzazione regionale a se stante e come entità nel contesto internazionale. Il secondo troncone, invece, esaminerà gli scenari economici che potranno presentarsi nel processo di integrazione di medio-lungo periodo.

 

5.2 Il futuro politico dell’ASEAN

Indagare sull’assetto politico futuro di una organizzazione regionale non è un compito del tutto privo di rischi. Quanto più è differito nel tempo ed elevato il livello di approfondimento dell’analisi previsionale, tanto più facile è cadere in errore.

A ciò si aggiunga che, a differenza di altri casi, nello studio regionalistico non ci si focalizza su di un singolo paese ma su di una entità aggregativa di paesi che, per quanto possa essere unita e simbiotica, rimane pur sempre una struttura (non sovranazionale in questo caso) atta a compendiare le volontà sovrane e gli interessi, a volte antitetici, dei singoli stati membri.

L’analisi qui adottata si sviluppa su due fronti. Il primo prende in considerazione l’aspetto interno dell’associazione, nella sua struttura organizzativa e nel complesso di interazioni generate dai paesi membri. Il secondo fronte, per converso, pone l’accento sull’aspetto esterno, nelle relazioni con i paesi e le organizzazioni (regionali e non) estranee al raggruppamento.

 

5.2.1 Aspetto interno

L’ASEAN è sempre stata una organizzazione regionale "leggera" e flessibile, caratterizzata da una struttura organizzativa dotata di una autonomia decisionale piuttosto limitata e da poteri non sovranazionali.

La formulazione delle politiche di indirizzo dell’associazione si sono sempre basate sul consenso unanime degli stati membri tant’è che a questo proposito nella letteratura anglosassone si parla addirittura di "the ASEAN way" quasi a voler indicare l’esistenza di un vero e proprio modello ASEAN di conduzione politica del processo decisionale e di dialogo interpartes.

La scelta di un modello paritario e basato sul consenso unanime è strettamente funzionale alle esigenze che i vari stati membri hanno manifestato sin dalla nascita del raggruppamento.

Prevedere una organizzazione esecutiva, legislativa o giudiziaria sovranazionale, sullo stampo di quella europea, e dotata di forti poteri di indirizzo ed eventualmente sanzionatori, avrebbe pregiudicato la sopravvivenza stessa dell’associazione al primo riaffiorare delle antiche dispute territoriali od al sorgere di nuovi questioni.

I paesi membri dell’ASEAN sono tasselli di un mosaico alquanto eterogeneo ed il frutto di una autonomia sovrana conquistata da troppo poco tempo per lasciare eccessivo spazio ed autonomia ad una entità sovranazionale.

Se questa concezione organizzativa poteva essere valida e comprensibile nel primo trentennio di esistenza dell’associazione ora, alla luce anche delle nuove sfide che devono affrontare i paesi ASEAN nel mutato e più competitivo contesto economico, essa sembra essere meno giustificabile.

Come accennato nel secondo capitolo, il ripensamento della struttura organizzativa verso criteri di maggiore autonomia, regolarità d’azione e sovranazionalitá dei poteri decisionali, sullo stampo di quelli europei, potrebbero far compiere un salto di qualità non indifferente all’ASEAN.

Conditio sine qua non perché ciò si verifichi è la volontà politica di tutti gli stati membri di rivedere i termini e la natura del proprio legame associativo.

Ad ogni modo questa strada non sembra essere percorribile a breve termine, visto che quattro dei dieci paesi membri (Vietnam, Laos, Myanmar e Cambogia) sono entrati a far parte dell’associazione piuttosto recentemente ed avranno bisogno di un lungo periodo di assestamento prima di uniformarsi del tutto all’attuale stadio di integrazione.

Più in generale finché non avverrà il consolidamento politico-economico di ciascun singolo paese membro, reso peraltro più difficile dall’entrata delle suddette nazioni prive di una tradizione democratica, sembra improbabile che nell’immediato futuro si possa assistere ad un potenziamento, o meglio, ad un salto di qualità della struttura organizzativa sulla falsariga di quella europea.

È lecito presumere che si procederà, almeno nel breve-medio periodo, prevalentemente a dei ritocchi od aggiustamenti di facciata senza intaccare lo stato attuale delle cose.

Adeguamenti sostanziali potranno avvenire nell’eventualità che si dia nascita verso il 2020, come configurato dal documento Visione ASEAN 2020 sottoscritto dai capi di stato, ad una comunità economica.

Il passaggio da associazione a comunità economica potrebbe portare i paesi membri a riconsiderare la natura del loro vincolo sacrificando parzialmente le singole sovranità a vantaggio di organismi sovranazionali sullo stampo di quelli europei.

Se ciò si verificasse l’ASEAN, o la supposta nuova organizzazione identificabile sotto una diversa etichetta, inizierebbe un ulteriore processo di integrazione di tipo istituzionale (Tabella5.3).

Il modello configurato nel medio-lungo periodo sarebbe dunque caratterizzato da una natura organizzativa più evoluta che decreterebbe il passaggio definitivo alla Comunità degli Stati del Sud-est Asiatico.

In linea con questa evoluzione seguirebbe un aggiornamento della struttura organizzativa presumibilmente nella direzione di un aumento delle potenzialità decisionali degli organismi preposti e, come più volte accennato, eventualmente di una loro sovranazionalitá.

 

Tabella5.3 Scenari futuri relativi alla fisionomia politica interna

 

Breve-Medio Periodo

Medio-Lungo Periodo

Variazioni

Natura
organizzazione regionale

Associazione
(zona di libero scambio)

Comunità

Struttura
organizzativa

Organi leggeri, flessibili e dotati di scarsa autonomia

Organi sovranazionali dotati di maggiore potere ed autonomia

Modello
decisionale

Basato sul consenso unanime

Basato sulla volontà della
maggioranza
(semplice o qualificata)

Interferenza negli affari interni dei singoli stati

Pressoché nulla

Più accentuata

Livello di
integrazione

Economica

Economica
Istituzionale
Sociale

 

 

Il modello decisionale non sarà più necessariamente basato sul consenso dei singoli stati membri ma informato a criteri democratici di maggioranza semplice o, laddove la delicatezza od importanza delle questioni lo richiedessero, qualificata. Ciò permetterebbe alla supposta comunità di procedere nella scelta delle politiche di indirizzo con maggiore velocità e senza incorrere nei veti incrociati di quei paesi che a turno si sentono minacciati nel loro singolo interesse.

Indubbiamente in un modello futuro così configurato, dove l’interesse regionale e comunitario comincerà ad assumere una importanza pari a quella nazionale, si dovrà abbandonare il consolidato principio di non interferenza nelle politiche interne dei singoli stati membri. Essa non sarebbe più congeniale, o meglio, funzionale alla nuova entità.

Nella prospettiva di lungo termine, dunque, il livello di integrazione degli stati asiatici sudorientali non toccherà la sola sfera economica ma credo si espanderà anche al campo istituzionale e finanche sociale.

Ai fini della crescita di un certo senso di identità regionale, che come abbiamo visto nel primo capitolo non è storicamente forse mai esistito, sarà necessario fra l’altro garantire in futuro il libero spostamento delle persone oltre che delle merci e dei servizi.

Tale passo, ancora una volta, non sarà di facile compimento visti i potenziali problemi di sicurezza e le questioni connesse alla criminalità ed al pesante traffico di droga che colpisce particolarmente alcuni paesi della regione.

Nel cammino verso l’integrazione economica ed istituzionale potrà venire in soccorso l’avanzata esperienza maturata dall’Unione Europea.

Sarebbe, tuttavia, erroneo identificare tout court il percorso regionale europeo quale modello di evoluzione da applicare alla realtà del Sud-est Asiatico. Ciò non è avvenuto in passato e non credo possa avvenire neanche in futuro. Il fatto che l’ASEAN, nonostante sia stata concepita solo dieci anni dopo la Comunità Economica Europea, abbia raggiunto un livello di integrazione ben inferiore ne è forse la riprova più evidente.

In analogia alla teoria darviniana secondo cui ciascuna specie segue un proprio percorso evolutivo in base soprattutto all’interazione con l’ambiente esterno, così ogni organizzazione regionale nasce e si modifica seguendo un percorso unico ed irripetibile in stretta correlazione con il contesto temporale e spaziale che la circonda.

Le misure politico-economiche intraprese dall’Unione Europea non debbono essere necessariamente considerate le ricette giuste da ricercare ed importare nella strada dello sviluppo.

Ciò che di più importante l’ASEAN può imparare dall’esperienza europea è di cercare di non commettere gli stessi errori.

Se l’ASEAN sarà in grado in futuro di configurare una veste istituzionale ed organizzativa adatta all’obiettivo primario che si è proposta di una sempre maggiore integrazione regionale quale presupposto imprescindibile per lo sviluppo e per il mantenimento della competitività a livello globale, allora saranno fondate delle ottime premesse affinché la più importante organizzazione regionale tra paesi in via di sviluppo si ritagli uno spazio significativo nello scenario politico mondiale del prossimo millennio. Essa, inoltre, sarebbe un ottimo modello, fatte salve le medesime considerazioni precauzionali apportate poco prima con l’esempio della UE, per quelle organizzazioni regionali di altri paesi arretrati

 

5.2.2 Aspetto esterno

Con il summit di Hanoi del dicembre dello scorso anno l’ASEAN ha accettato, fra le polemiche degli osservatori e dei leader internazionali, l’entrata della Cambogia quale decimo paese membro.

Ora il panorama geopolitico della regione sudorientale è completo e, dai cinque stati fondatori, si è raddoppiato il numero dei paesi componenti raggiungendo la ragguardevole cifra di oltre 450 milioni di abitanti. Tale popolazione appare numerosa se rapportata ad altri raggruppamenti regionali quali UE e NAFTA ma rimane ancora esigua se rapportata alla vicina Cina.

Al di là delle evidenti costrizioni geopolitiche che limitano la denominazione di Sud-est Asiatico a questi e solo questi dieci stati non si vede come, almeno nel breve-medio periodo, vi possano essere nuove adesioni di paesi esterni alla regione suddetta.

In verità è stata più volte proposta da parte dei vertici malesi la possibilità di creare un nuovo raggruppamento regionale contrapposto all’APEC per la esplicita esclusione dei paesi non asiatici quali Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda. La ragione di questa nuova formula di coesione risiedeva, secondo gli ideatori, nel principio secondo il quale gli asiatici erano accomunati dai dei valori e da una filosofia di pensiero comuni, ad ogni buon conto diversa da quella di altri popoli.

Tale organizzazione si sarebbe dovuta chiamare EAEC (East Asian Economic Caucus) o EACG (East Asia Economic Group) ed avrebbe dovuto, secondo le intenzioni dei suoi propugnatori, includere gran parte dei paesi asiatici.

All’iniziale entusiasmo con cui è stata accolta questa proposta è seguito un neanche tanto velato dietro front da parte del Giappone dettato dal timore di compromettere le relazioni politico-economiche con gli Stati Uniti. Essi, infatti, non vedevano per nulla di buon occhio una simile iniziativa e non avrebbero esitato a studiare delle ritorsioni economiche per impedirne il buon esito. Fra la scelta di stare solo con i paesi asiatici e quella di stare con tutti i paesi del Bacino del Pacifico il peso della bilancia nipponica pendeva decisamente verso questa ultima soluzione.

Ammesso che il problema dell’etichetta geografica possa essere superato, è difficile credere, occorre ribadirlo, che vi sia la possibilità di un ulteriore allargamento dell’attuale formazione dell’ASEAN.

Partendo dal continente asiatico è pressoché da escludere l’ingresso di Giappone, Cina (e con essa Hong Kong e Taiwan) e Corea.

Giappone e Corea sono ad un livello di sviluppo politico-economico troppo elevato per avere interesse ad unirsi, magari sotto una nuova formula diversa dall’ASEAN, con i paesi sudorientali. Sarebbe come credere che Golia, per ricorrere ad una analogia con la tradizione mitologica, abbia interesse a stringere amicizia con Davide prima ancora di sapere la sua sorte.

Allo stesso tempo i paesi ASEAN non avrebbero convenienza ad accettare nuove componenti in grado di sovvertire radicalmente i rapporti di forza all’interno del raggruppamento e beneficiare, negli schemi economici regionali già posti in essere (AFTA, AIA, AICO), del ruolo primario e più redditizio.

La possibilità, dunque, che questi due paesi aderiscano o siano accettati dall’associazione appare alquanto aleatoria soprattutto nel breve-medio periodo.

Quanto alla Cina, pur mancando una marcata superiorità della componente economica, fanno sembrare improbabile l’adesione all’ASEAN la conduzione politica del paese, le storiche rivalità che hanno caratterizzato queste regioni, la competitività dei sistemi produttivi sudorientali e quello cinese.

La Cina è vista dai paesi ASEAN, salvo rare eccezioni, come una sorta di minaccia militare ed economica piuttosto che come un possibile alleato nella strada dello sviluppo.

L’annosa questione dell’indipendenza di Taiwan e del perdurare delle forti rivendicazioni cinesi su questo territorio sono l’esempio del fattore instabilità che la Cina è vista portare dai paesi ASEAN.

Questa questione è una delle ragioni principali per le quali sia da escludere, o quantomeno appaia altamente improbabile, fatte salve altre considerazioni, l’adesione di Taiwan all’ASEAN.

Completato il quadro regionale l’ASEAN non sembra poter dunque allargare ulteriormente i ranghi dei paesi partecipanti e la dimensione dei propri mercati se non attraverso degli accordi paritari con altre vicine organizzazioni regionali (CER, SAARC, Federazioni degli Stati della Micronesia e della Melanesia).

In verità è già stata lanciata la proposta nel passato di creare una sorta di zona di libero scambio AFTA-CER tra i paesi del Sud-est Asiatico e Australia e Nuova Zelanda. Essa però non ha mai avuto seguito per paura che a trarne il beneficio maggiore sarebbero stati proprio i due avanzati paesi del continente oceanico.

Ci si può domandare se sia possibile un processo inverso di involuzione che veda diminuire il numero attuale di paesi membri.

Questa possibilità sembra essere piuttosto remota per due ordini di motivi.

Da una parte non vi è convenienza da parte dei paesi membri, soprattutto di quelli più arretrati, di autoescludersi (con il rischio di isolarsi) da un raggruppamento regionale che, fra le altre cose, consente di amplificare il proprio peso politico internazionale in un contesto sempre più globale e competitivo. Appare in sostanza difficile immaginare nella regione sudorientale il ritorno ad una conduzione della politica estera isolazionista di stampo, mi si consenta il paragone, svizzero o cubano

Dall’altra è giuridicamente e politicamente poco plausibile la possibilità che vi sia una esclusione forzata di un singolo paese da parte dei restanti a meno che non si dia vita ad un soggetto regionale nuovo e svincolato dall’ASEAN.

Fra l’autoesclusione e l’esclusione forzata appare più plausibile la prima ipotesi laddove uno shock politico interno possa sovvertire totalmente l’ordine costituito e con esso l’indirizzo di politica estera intrapresa.

Un ulteriore fattore di interesse nell’ambito dei rapporti futuri esterni dell’associazione è dato dall’appartenenza di molti paesi sudorientali all’APEC.

È lecito chiedersi se le politiche di liberalizzazione commerciale e di cooperazione poste in essere da questo ampio raggruppamento di paesi che si affacciano sul Pacifico possano essere speculari a quelle dell’ASEAN privando la stessa associazione della ragion d’essere.

Sebbene possa esistere una similari negli obiettivi e nelle finalità di questi due raggruppamenti regionali, il contenuto e la portata delle politiche intraprese dall’ASEAN è ben più complessa ed avanzata rispetto a quelle configurate nella più ampia organizzazione del Pacifico.

L’ASEAN completerà fra poco più di due anni (2002) la zona di libero scambio (AFTA) mentre l’APEC si prefigge un simile obiettivo entro il 2020. In questo senso l’AFTA può considerarsi come una sorta di prova generale verso il più ambizioso traguardo di liberalizzazione commerciale del bacino del Pacifico (APEC) e dell’intero globo (WTO).

L’ASEAN, inoltre, ha sviluppato, memore delle precedenti esperienze fallimentari, un nuovo progetto di cooperazione industriale (AICO) ed ha in cantiere l’istituzione a medio-lungo termine di una zona di liberi investimenti (AIA). A ciò si aggiunga che l’azione cooperativa non si limita alla sola sfera economica ma coinvolge anche il settore sociale e tecnologico.

L’ASEAN, quindi, ha una struttura, un campo d’azione e degli obiettivi molto più complessi ed articolati di quelli afferenti l’APEC.

Ciò fa escludere l’ipotesi che l’ASEAN quale entità politica regionale perda di significato in un contesto più ampio quale quello rappresentato dalla suddetta organizzazione del Pacifico. L’APEC, in altre parole, non è una organizzazione competitiva rispetto all’ASEAN ma è piuttosto complementare ad essa.

Il futuro politico dell’ASEAN in relazione al contesto esterno sarà senza dubbio condizionato dalla capacità con cui il raggruppamento sarà in grado di crearsi una forte credibilità internazionale. A questo riguardo maggiore sarà la reputazione di organizzazione solida e coesa e più alte saranno le possibilità di ritagliarsi uno spazio sempre più rilevante nello scacchiere politico mondiale.

Una immagine forte aumenterebbe le credenziali di tale entità e con esse il "potere contrattuale" con cui affrontare le questioni ed il dialogo nelle sedi internazionali.

Un passo decisivo in questa direzione, va riconosciuto, è stato compiuto con l’istituzione dell’ASEAN Regional Forum quale sede di confronto e di discussione pacifica delle questioni regionali inerenti la sfera politica e della sicurezza. Ad esso partecipano, oltre ai paesi membri dell’ASEAN, anche Cina, Stati Uniti e Giappone.

Il successo che tale forum sta avendo nella risoluzione pacifica di spinose questioni regionali testimoniano il salto di qualità che l’ASEAN ha compiuto in questi anni non solo nel cercare di affermare il proprio peso politico nel contesto regionale ed internazionale ma anche nella capacità di proporre e sviluppare proprie iniziative.

Delle ombre sulla reputazione di organizzazione regionale coesa ed efficiente sono purtroppo calate in occasione della crisi asiatica allorché ci si sarebbe aspettato, soprattutto da quegli investitori che avevano perso fiducia sulla solidità finanziaria dei propri investimenti, delle risposte politico-economiche tempestive ed unitarie ed invece si è preferito dar corso ad azioni di tamponamento a livello nazionale sottovalutando il problema o, peggio ancora, credendo che esso non si sarebbe potuto estendere all’intera area.

Tale crisi, in tutta la sua negatività, ha senza dubbio rappresentato una lezione per il futuro per i paesi dell’ASEAN.

Essa stimolerà ad accelerare il processo di integrazione anche attraverso l’adozione di politiche armonizzate a livello regionale.

Se poi l’associazione sarà in grado, come più volte auspicato, di spingere i paesi sviluppati ed il Fondo Monetario Internazionale a procedere verso una revisione della architettura finanziaria globale allora ciò proverebbe l’accresciuto peso politico di cui essa gode nell’ambito mondiale.

 

5.3 Il futuro economico dell’ASEAN

Analizzare le prospettive future dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico significa allo stato attuale valutare principalmente l’impatto che la zona di libero scambio (AFTA), configurata già dal 1992 ed operante a tutti gli effetti a partire dal 2002, avrà sul raggruppamento regionale.

Nel considerare l’impatto che l’AFTA avrà sui traffici commerciali è necessario premettere alcune considerazioni di carattere generale sulla sua implementazione definitiva.

Come qualsiasi altro accordo commerciale regionale l’AFTA potrebbe essere ascritto alla lista di quelli volti alla liberalizzazione commerciale od a quelli volti al protezionismo. In altri termini esso potrebbe prefiggersi sia di sostenere il libero scambio delle merci e con esso una maggiore e più razionale allocazione delle risorse, sia di perseguire un mero interesse protezionistico dettato dal timore della competizione su scala sovraregionale.

La preoccupazione che l’AFTA diventi lo strumento dell’ASEAN per tramutarsi in un blocco commerciale appare tuttavia infondata. I paesi componenti hanno basato la loro crescita sull’orientamento alle esportazioni verso soprattutto i paesi sviluppati, quindi non avrebbero convenienza ad adottare una politica di regionalismo chiuso.

A ciò si aggiunga che il mercato in termini numerici a cui danno vita tali nazioni, sebbene sia composto da circa 450 milioni di persone, non è sufficientemente consistente e sviluppato da autoalimentarsi in un sistema chiuso stile blocco commerciale. Per mutuare un esempio dalla biologia, quanto più una cellula è piccola tanto più ha bisogno di un processo osmotico con l’ambiente esterno per crescere e sopravvivere.

Un’altra considerazione degna di nota va apportata riguardo gli altri impedimenti alla liberalizzazione commerciale, le barriere non tariffarie.

Per quanto le tariffe doganali siano ridotte od eliminate, le restrizioni quantitative, le lungaggini burocratiche, la eterogeneità dei sistemi di valutazione doganale e le altre barriere non tariffarie incidono in misura non minore sulla buona riuscita di una zona di libero scambio.

A questo proposito va riconosciuto ai paesi aderenti di aver intrapreso la strada giusta verso la loro eliminazione e, più in generale, verso l’armonizzazione delle procedure doganali.

Se questo processo di eliminazione avverrà in modo non discriminatorio il costo della diversione dei traffici sarà parzialmente ridotto.

Altre riforme che meritano attenzione ed amplificano indirettamente la buona riuscita della zona di libero scambio sono l’implementazione della zona di libero investimento (AIA), la liberalizzazione dei mercati dei capitali e dei servizi.

Vista la natura competitiva delle economie ASEAN (producono per esportare gli stessi beni) gran parte dei vantaggi dell’AFTA scaturiranno dall’intensificarsi del processo di integrazione e dalla migliore capacità di attrazione degli investimenti esteri.

L’AIA, l’AICO e gli altri progetti di cooperazione già visti contribuiscono a formare un pacchetto regionale di politiche economiche che oltre ad avere una propria ragion d’essere, sono di sostegno all’AFTA inteso come massimo strumento rivolto a rendere più appetibile la regione quale luogo di investimenti e piattaforma produttiva. Non a caso tale pacchetto "collaterale" viene accademicamente spesso denominato AFTA-plus, quasi a denotarne l’intima connessione.

Una valutazione razionale della bontà od efficacia dell’AFTA non può dunque prescindere dalla conoscenza degli obiettivi non del tutto secondari, rispetto a quelli canonici di liberalizzazione commerciale, a cui i paesi ASEAN mirano arrivare.

Secondo uno studio australiano condotto dalla East Asia Analytical Unit dalle stime dei livelli e dei modelli di scambio tra alcuni paesi sudorientali (ASEAN-5), in ipotesi di assenza dell’AFTA, risulta che, a cavallo fra il 2005-2006, Singapore e Malaysia saranno i principali esportatori nel mercato ASEAN (Tabella 5.4).

Le previsioni che tengono in considerazione l’introduzione dell’AFTA attestano la percentuale di aumento del commercio infraregionale a circa il 10% (Tabella 5.5).

 

Tabella 5.4 Previsioni commercio intra-ASEAN in assenza dell’AFTA, 2005/2006
(milioni di dollari, prezzi costanti 1991)

 

Destinazione esportazioni

Origine

ASEAN-5

Indonesia

Malaysia

Filippine

Singapore

Thailandia

TOTALE

Indonesia

-

1.931

988

8.795

2.962

14.675

Malaysia

2.666

-

902

13.547

5.629

22.744

Filippine

546

598

-

593

639

2.377

Singapore

5.095

13.089

1.053

-

10.791

30.029

Thailandia

2.726

4.324

692

9.539

-

17.282

TOTALE

11.034

19.943

9.539

32.473

20.021

87.107

 

Fonte: East Asia Analytical Unit

 

Tenendo in considerazione che le esportazioni infraregionali rappresentano circa il 20% delle esportazioni totali ASEAN, il beneficio a lungo termine dell’AFTA si sostanzierebbe, a parità di altre condizioni, in un incremento totale delle esportazioni di un massimo del 2%.

 

Tabella 5.5 L’impatto dell’AFTA sul commercio ASEAN
Variazione delle esportazioni verso i paesi ASEAN (%)

 

2001

2006

ASEAN-5

+9,5

+10

Non-ASEAN

-14,6

-21

 

Fonte: East Asia Analytical Unit

 

Le previsioni in oggetto non tengono conto, però, di eventuali limiti al lato della offerta nell’incremento delle esportazioni. Se le economie ASEAN opereranno a piena capacità nel futuro, un aumento delle esportazioni a livello regionale potrebbe ripercuotersi in senso negativo sul livello delle esportazioni dirette all’esterno. Se questo dovesse verificarsi appare lecito presumere che sarebbero i maggiori paesi competitori, in primis la Cina, ad avvantaggiarsene.

La mancanza di stock di capitali può essere uno dei limiti a cui il lato dell’offerta potrà trovarsi di fronte. La crisi asiatica, in questo senso, ha aggravato la situazione e reso più probabile il verificarsi di questa ipotesi.

A lungo termine, però, ed a patto che l’implementazione dell’AFTA sia seguito da una politica commerciale non discriminatoria nei confronti dei paesi esterni, tutte le nazioni componenti dovrebbero beneficiare della zona di libero scambio.

Le imprese competitive potranno godere di un più ampio mercato su cui riversare i propri prodotti e i consumatori avranno accesso a prodotti più qualitativi ed economici. Più in generale, le risorse regionali saranno allocate in maniera più razionale.

A breve termine alcuni paesi in particolare potranno godere maggiormente di tale liberalizzazione. Quali principali esportatori della regione ed avendo già adesso un sistema tariffario doganale piuttosto esiguo, Singapore e Malaysia dovrebbero beneficiare più di altri di tale processo. Tali paesi, inoltre, sono da lungo tempo aperti alla competizione internazionale e le loro imprese, dunque, non subiranno grossi shock di adattamento nel cammino verso l’AFTA.

Filippine, Indonesia e Thailandia per conto loro non beneficiano di una simile apertura e detengono una quota di esportazioni regionali inferiore. La sopravvivenza delle imprese mantenute competitive finora dall’esistenza di barriere tariffarie e non si affiderà ad una revisione profonda della logica imprenditoriale perseverante. In particolare sarà sempre più difficile in un contesto più aperto avvalersi, come avvenuto spesso nel passato soprattutto in Indonesia, degli appoggi clientelari ed affaristici degli esponenti pubblici e di governo.

Sarebbe tuttavia erroneo identificare tout court nei paesi componenti l’ASEAN dei perdenti e dei vincenti. Occorre a questo proposito sottolineare come il vantaggio o meno di cui un paese possa godere dall’introduzione dell’AFTA dipenda dai settori economici presi in considerazione. In particolare otterranno maggiori benefici quei settori che già adesso non usufruiscono di barriere tariffarie o che hanno un alto potenziale di esportazione od infine che godono di un vantaggio competitivo rispetto agli stessi settori di altri paesi.

L’aumento del 10% previsto per il 2006 delle esportazioni intra-ASEAN non sarà tuttavia privo di effetti. Esso sarà in parte dovuto alla diversione di traffici provenienti dai paesi esterni al raggruppamento.

In termini assoluti, tale diversione di traffici ricadrà maggiormente sulle esportazioni giapponesi (Tabella 5.6). Seguono a ruota quelle statunitensi, quelle europee e quelle provenienti dagli altri paesi nord-asiatici.

 

Tabella 5.6 Previsione sulla diversione dei traffici per effetto dell’AFTA

ASEAN-5

Variazione nelle esportazioni verso l’ASEAN per effetto dell’AFTA (%)

Percentuale di perdita sostenuta dai paesi esportatori esterni

 

2001

2006

2001

2006

ASEAN

9,5

10

-

-

Australia

-1,4

-2,4

1,7

2,1

Stati Uniti

-3,1

-4,3

20,2

20,1

EU

-2,7

-3,9

16,4

17,1

Giappone

-3,4

-4,6

35,1

33

Altri paesi nord-asiatici

-2,8

-4

17,7

17,8

Altri paesi

-1,2

-1,8

8,8

9,8

Totale

 

 

100

100

 

Fonte: East Asia Analytical Unit

 

Le cifre previsionali elaborate dall’East Asia Analytical Unit non tengono in considerazione due fattori.

Il primo è connesso al numero dei paesi ASEAN presi in considerazione, vale a dire cinque su dieci. Sebbene essi siano i paesi più importanti a livello macroeconomico e rappresentino gran parte del prodotto aggregato dell’associazione rimane il fatto che possa esistere una minima distorsione dei dati dovuta all’esclusione dei restanti paesi.

In secondo luogo i dati esposti non sono depurati degli eventuali effetti indiretti dovuti, ad esempio, alla possibile diminuzione delle esportazioni dei paesi ASEAN verso i paesi esterni per effetto dell’incremento del commercio infraregionale. In questo caso i buchi di esportazione lasciati liberi dai paesi ASEAN sarebbero ricoperti da paesi esterni.

Inoltre l’incremento delle esportazioni infraregionali potrebbero comportare un aumento della domanda e quindi delle importazioni di input dai paesi esterni.

Infine non va dimenticato che i paesi esterni potrebbero beneficiare a lungo termine della crescita economica e dell’espansione dei mercati dovuta all’introduzione stessa dell’AFTA.

La rete di correlazioni economiche che è sorta e si svilupperà ulteriormente dall’introduzione di questa zona di libero scambio è quindi piuttosto ramificata e complessa.

Fare delle previsioni sugli effetti che tale rete genererà è dunque alquanto difficile; ne sono una riprova le differenti e spesso contrapposte conclusioni a cui pervengono i vari studiosi nel cercare di prevedere con dati alla mano il beneficio o meno di cui i paesi ASEAN goderanno per effetto dell’AFTA.

A ciò si aggiunga che la crisi asiatica, ironia della sorte del tutto imprevista, ha spostato in avanti le lancette dello sviluppo di questa area sovvertendo e distorcendo già essa lo scenario di partenza, le previsioni di crescita relative ed i criteri di giudizio sulla efficacia o meno dell’AFTA.

Le previsioni a breve termine di alcune fra le maggiori organizzazioni mondiali intravedono la ripresa della crescita in termini di PIL e di commercio totale e fanno ben sperare sul ritorno delle condizioni favorevoli antecedenti la crisi (Tabella 5.7, Tabella 5.8, Tabella 5.9, Tabella 5.10, Tabella 5.11, Tabella 5.12, Tabella 5.13).

Probabilmente sarà difficile ritornare agli stessi ritmi di sviluppo registrati nel corso degli anni ’80 e nella prima metà degli anni ’90 ma quantomeno ci si incamminati verso la giusta direzione.

Nel breve periodo, dunque, lo scenario economico dell’ASEAN sarà caratterizzato da una progressiva ripresa della crescita e, a livello di politica economica, dalla revisione dei sistemi finanziari che hanno causato la crisi.

 

Tabella 5.7 Previsioni a breve termine di alcuni indicatori (variazione percentuale)

BRUNEI

 

1999

2000

2001

Fonte:

Ufficiale

PIL Reale

2.3

2.5

3.0

Esportazioni Reali

6.5

7.3

8.2

Importazioni Reali

2.5

3.5

4.0

Indice dei prezzi al consumo

2.2

2.5

3.0

 

Fonte: ufficiale, Governo del Brunei.

 

Tabella 5.8 Previsioni a breve termine di alcuni indicatori (variazione percentuale)

INDONESIA

 

1999

Fonte:

Ufficiale

FMI

LINK

ADB

OCSE

PIL Reale

-

-

0

1.0

2.0

Esportazioni Reali

-

-

2.7

7.0

-

Importazioni Reali

-

-

6.2

2.0

-

Indice dei prezzi al consumo

-

-

-

15.0

10.0

 

Fonti: Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook 1998; Link, World
Outlook 1998; ADB, Asian Development Bank Outlook 1998; OECD, OECD Economic Outlook.

 

Tabella 5.9 Previsioni a breve termine di alcuni indicatori (variazione percentuale)

MALAYSIA

 

1999

Fonte:

Ufficiale

FMI

LINK

ADB

OCSE

PIL Reale

-

-

3.5

4.5

3.5

Esportazioni Reali

-

-

8.7

10.0

-

Importazioni Reali

-

-

9.1

7.0

-

Indice dei prezzi al consumo

-

-

-

4.5

3.8

 
Fonti: Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook 1998; Link, World
Outlook 1998; ADB, Asian Development Bank Outlook 1998; OECD, OECD Economic
Outlook.

 

Tabella 5.10 Previsioni a breve termine di alcuni indicatori (variazione percentuale)

FILIPPINE

 

1999

Fonte:

FMI

LINK

ADB

OCSE

PIL Reale

-

4.6

4.0

4.0

Esportazioni Reali

-

18.7

21.0

-

Importazioni Reali

-

14.2

10.0

-

Indice dei prezzi al consumo

-

7.0

8.0

6.0

 
Fonti: Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook 1998; Link, World
Outlook 1998; ADB, Asian Development Bank Outlook 1998; OECD, OECD Economic
Outlook.

 

Tabella 5.11 Previsioni a breve termine di alcuni indicatori (variazione percentuale)

SINGAPORE

 

1999

Fonte:

FMI

LINK

ADB

OCSE

PIL Reale

0.2

2.4

4.5

5.2

Esportazioni Reali

-

3.4

4.0

-

Importazioni Reali

-

3.4

4.0

-

Indice dei prezzi al consumo

2.0

-

3.3

2.5

 
Fonti: Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook 1998; Link, World
Outlook 1998; ADB, Asian Development Bank Outlook 1998; OECD, OECD Economic
Outlook.

 

Tabella 5.12 Previsioni a breve termine di alcuni indicatori (variazione percentuale)

THAILANDIA

 

1999

Fonte:

Ufficiale

FMI

LINK

ADB

OCSE

PIL Reale

1.8

-

2.8

1.0

4.5

Esportazioni Reali

5.0

-

6.7

8.0

-

Importazioni Reali

6.5

-

10.3

3.0

-

Indice dei prezzi al consumo

6.0

-

-

9.0

6.0

 
Fonti: Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook 1998; Link, World
Outlook 1998; ADB, Asian Development Bank Outlook 1998; OECD, OECD Economic
Outlook.

 

Tabella 5.13 Previsioni a breve termine di alcuni indicatori (variazione percentuale)

VIETNAM

 

1999

Fonte:

Ufficiale

FMI

ADB

PIL Reale

6-7

-

6.5

Esportazioni Reali

10

-

16.0

Importazioni Reali

19

-

5.0

Indice dei prezzi al consumo

<10

-

4.0

  
Fonti: Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook 1998; ADB, Asian
Development Bank Outlook 1998.

 

Mi sembra di poter affermare che un giudizio di validità o meno della strada di liberalizzazione intrapresa non possa comunque essere espresso in base a criteri che tengano in considerazione i soli effetti di trade creation e trade diversion, lasciando in secondo piano il grado di efficacia con cui l’AFTA sarà capace di catalizzare investimenti esteri e porsi come base di produzione mondiale.

Un’altra importante sfida che attende il raggruppamento regionale è rappresentata dalla forte necessità di livellare nel tempo le differenze sostanziali che caratterizzano attualmente le varie economie. La convergenza verso l’alto dei redditi e del livello tecnologico è un presupposto molto importante per garantire in futuro un processo di integrazione ancora più profondo.

Se questi obiettivi saranno raggiunti l’ASEAN ha buone probabilità, una volta rimessasi in carreggiata dopo le turbolenze che l’hanno colpita, non solo di riprendere la via dello sviluppo sostenuto ma anche di poter competere nel prossimo millennio con i giganti dell’economia mondiale.

Non sarei per nulla sorpreso se, in una prospettiva di lungo termine sia chiaro, l’epilogo finale di una delle leggende mitologiche più affascinanti che ci sia mai stata tramandata ab antiquo, possa metaforicamente adattarsi alle vicende future del Davide ASEAN.

 

5.4 Alcuni fattori di incertezza lungo la strada dell'integrazione

Nel difficile percorso che l'associazione dovrà seguire verso l'integrazione economica dell'area geopolitica da cui prende nome, i principali fattori d'incertezza e di destabilizzazione scaturiscono dalla precaria situazione politica in cui si trovano molti paesi sudorientali.

L'Indonesia, paese più importante all'interno del raggruppamento per estensione e popolazione, affronta problemi connessi alla transizione politica che ha portato, dalla caduta dello stagnante ed ultratrentennale regime di Suharto e dalla breve parentesi del suo delfino Habibie, alle recenti elezioni politiche in cui il nuovo assetto istituzionale è garantito dal compromesso tra il leader mussulmano Wahid e la sua vice Megawati Sukarno Putri.

Quanto quest'equilibrio possa durare è difficile a dirsi; senza dubbio, come la recente questione di Timor Est ha evidenziato, l'ombra e la pressione dei militari non si farà attendere nell'eventualità che si dovessero manifestare, per un motivo o per un altro, come peraltro già avvenuto in passato, delle condizioni di forte instabilità politica.

Sotto quest'ottica il processo a catena di movimenti indipendentisti che la "positiva" conclusione della questione Timor Est potrebbe generare, scatenerebbe molto probabilmente la reazione dei militari nazionalisti.

L'ipotesi, inoltre, che tale eventuale e futura precarietà, unita alle ripercussioni socioeconomiche generate dalla recente crisi finanziaria, amplifichino ed accendano i fervori fondamentalisti di quello che, non va dimenticato, è il più grande paese islamico del mondo, non va sottovalutata.

Ulteriori fattori d'incertezza scaturiscono dalla difficile situazione politica di Cambogia e Myanmar. Una trattazione storica di tali situazioni presupporrebbe un capitolo a parte e non rientrerebbero nelle finalità di natura economica di questa ricerca.

Appare comunque lecito evidenziare come ben diverso sarebbe l'impatto negativo, nel processo d'integrazione economica dell'ASEAN, derivante dall'instabilità politica di un paese cardine quale l'Indonesia rispetto a quello degli altri due poc'anzi enunciati.

L'ASEAN, dunque, nel suo cammino verso l'integrazione economica non è immune da quei fattori d'incertezza, prevalentemente politici, che discendono dalle singole situazioni di potenziale instabilità che investono alcuni paesi membri dotati di scarso consolidamento dei principi democratici.

Le sfide che attendono la più importante entità regionale fra paesi in via di sviluppo sono dunque molteplici. Il loro superamento sarà strettamente connesso alla capacità che i singoli paesi membri avranno di gestire le questioni interne ed anteporre, in un'ottica di gerarchia dei valori, il bene regionale a quello nazionale.

Quest'ultima precisazione appare fondamentale affinché il Davide ASEAN possa competere in futuro con i giganti dell'economia mondiale.

     

È possibile consultare alcune mappe ed immagini sull'ASEAN e sul Sud-Est Asiatico.

 

 

 

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